Articolo di Roberta Capanni per la rubrica “Mete di viaggio” Vi piace viaggiare “insolito”? Ecco allora la proposta di gustarviaggiando.com: attraversare e conoscere le zone che un tempo erano popolate da briganti leggendari. Al seguito di storie e leggende dei briganti toscani  di oltre un secolo fa, si possono scoprire territori nascosti rigogliosi e carichi di storie.

I briganti erano i banditi di casa nostra, un po’ come accadeva nel Far West, perché anche da noi erano tempi difficili. Si diventava briganti per indole ma anche per fame.

In Toscana i briganti erano temuti ma anche aiutati perché il brigantaggio di questa regione non era legato alla politica come invece avvenne in altre parti della penisola.

parco della maremma - foto Roberta Capanni

Parco della Maremma – foto Roberta Capanni

Solitari Robin Hood

I briganti toscani erano solitari. Se avevano una banda la “usavano” per qualche colpo un po’ più impegnativo. Solcavano le zone difficili e impervie, dove le carrozze erano costrette a rallentare, si nascondevano nei boschi, nelle grotte e anche sugli alberi. Vestivano di fustagno e portavano mantelli, andavano  a cavallo.

Ogni territorio toscano a fine Ottocento aveva il proprio brigante leggendario e con loro, possiamo andare a conoscere questi territori un po’ fuori dalle vie conosciute ma bellissimi e carichi di storie da raccontare.

Ovviamente c’erano i leggendari e quelli più piccoli costretti dalle vicende della vita a diventare briganti. Nelle grandi tenute si pagava una “tassa al brigantaggio” per non “avere molestia” mentre con la popolazione delle campagne si solito si comportavano bene, in fondo erano poveracci anche loro e faceva comodo avere un piatto caldo o un rifugio in caso di bisogno.

Bosco. Foto R. C

 

Sulle orme del leggendario Domenichino ovvero Domenico Tiburzi

territorio da esplorare: Grosseto e la Maremma

Per seguire le orme del leggendario Domenichino, ovvero Domenico Tiburzi, dobbiamo andare verso Grosseto e salire fin verso Viterbo.  La Maremma toscana e laziale alla fine del 1800 era ancora un terra difficile, dove la malaria e la povertà erano il pane quotidiano.

Tiburzi era il re della macchia. Si nascondeva benissimo ed era il più temuto dei briganti toscani. Prima di cadere alle Forane colpito dai colpi dei carabinieri ne fece di tutti i colori. Però, come molti di loro, era un giustiziere a modo suo. Si racconta che avesse dato una bella somma ad una vedova a cui la sua banda aveva ucciso il marito muratore.  Pare che avesse anche trovato dote e marito a qualche contadina e che aiutò una povera famiglia di Montalto di Castro che stava per essere sfrattate. Dette loro i soldi con cui la famiglia pagò l’esattore, e poi il Tiburzi lo rapinò strada facendo riprendendo i suoi soldi!

Il re della macchia tenne a “battesimo” molti briganti come il biondo Fioravanti. Dopo la fucilata presa nel bosco di Gracciano però,  neanche le acque termali di bagno di Roselle avevano potuto dargli sollievo e i processi a suo carico che si erano tenuti a Viterbo lo avevano reso malinconico. Anche lui fu sorpreso intendo in una cena tra fiaschi di vino vuoti.

Se siete in zona andate a vedere la Diaccia Botrona e fate un salto al castello di Castiglion della Pescaia. 

 

diaccia-botrona-panorama- Foto di R. Capanni

Diaccia-botrona-panorama- Foto di R. Capanni

Sei peggio di Gnicche! Ecco il vero Robin Hood campagnolo.

Territorio da esplorare: Arezzo e le su campagne

Si chiamava Federico Bobini, detto lo Gnicche, era  nato d Arezzo nel 1845  dove frequentò le scuole serali ma anche  cattive compagnie. Un ragazzo un po’ svogliato ma intelligente, che amava le carte, il vino e le belle donne. Gli piaceva vestirsi bene.  Il suo territorio erano le campagne di Arezzo, nella Val di Chiana, dove c’erano più boschi di oggi, ma anche sulle colline di Anghiari, a Cortona e nei fondovalle e sui crinali del Casentino.

Depredava i ricchi e proteggeva i poveri però, se aveva qualche sospetto, non esitava a sguanciarti la gola con una fucilata. Una sera trovò due braccianti che erano stati derubati della paga giornaliera da due banditi, lo Gnicche si infuriò ripescò i due malviventi e rese i soldi ai due lavoratori.

Arezzo – Foto di wolfgang1663 da Pixabay

Frequentava Santa Firmina, San Zeno, Sargiano. Le sue bravate erano conosciute da tutti. Amava ballare e una sera, per andare indisturbato al Prato dove si svolgevano danze allora molto popolari, fece spogliare una donna in un vicolo e si travestì dei suoi panni.

Non aveva peli sulla lingua e sapeva che tutti erano al corrente che chi faceva la spia non la passava liscia.  Famoso quindi l’incontro con il sindaco di Arezzo, con il quale, un elegantissimo Gnicche, iniziò un discorso seduto in un caffè.   Il bandito spiegò che anche lui era un sindaco e disse al compagno di tavolo: “ mentre lei, signor sindaco, tassa la bassa gente,  io tasso i signoroni solamente…”  Finito il caffè iniziò a girare per il locale e il sindaco di Arezzo chiese chi era: “è Gnicche” disse uno e in quel momento il locale si vuotò.

La torre del Gnicche

Esiste ancora la Torre del Gnicche, uno dei suoi rifugi. Una costruzione due/trecentesca lungo la collina di San Fabiano che oggi è un angolo di fascino.

Per seguire le orme del Bobini bisogna andare davanti all’antico convento di Sargiano  dove il bandito uccise con una fucilata alla gola un uomo, reo di aver fatto la spia. Qui c’è un crocicchio, molto frequentato da Gnicche perché era un passaggio obbligato per i viandanti e, inoltre,  i frati del vicino convento avevano sempre un pezzo di pane e del vino buono.

Il bandito con il coltello fatto a “cricche” (da qui il soprannome) finì la sua carriera la sera del 14 marzo 1871  nella zona di Tegoleto. Stava andando nella casa di un contadino a mangiare fegatelli fritti quando i carabineri, insospettiti dalla insolita abbondanza della cena della famiglia Casucci, lo ammanettarono.

Durante il tragitto il brigante fuggi ma mise un piede in fallo e cadde nei pressi della località detta Ponticino. Un colpo alla schiena lo fermò per sempre.

Padule foto di Stefano Baroni da pixabay

Padule foto di Stefano Baroni da pixabay

 

Il tesoro dell’Orcino

Zona da visitare: Padule di Bientina. Orentano

A Orentano c’era l’Orcino. Un bandito spavaldo, coraggioso e buontempone che si divertiva a tirare tiri mancini alle guardie granducali. Siamo tra boschi, capi coltivati e il padule, Un palcoscenico che la natura ha disegnato e che, all’epoca, era ancora più rigoglioso.

L’Orcino toglieva ai ricchi per dare ai poveri e non ammazzò mai nessuno anche se era un gran tiratore. Scivolava silenzioso tra i tronchi dei boschi,  nei canneti , nella palude, inseguito  dai gendarmi che  a quel tempo erano sempre a caccia dei briganti. Tutti  aiutavano l’Orcino, come quando si nascose sul barroccio di un certo Fiore, sotto le uova che trasportava. Era considerato un gentiluomo e un uomo di palude.

Un giorno mente tentava didi rubare delle armi non si accorse che era sorvegliato. Così prense una fucilata ad una gamba. Non poteva più correre come prima e le pattuglie erano alle sue calcagna. Quella notte  stessa nasconse  il suo tesoro (In  un forziere? In un orcio?) vicino al vecchio cimitero e scappò.  Nascosto in una  cesta raggiunse una nave in partenza per le “Americhe”.

I marenghi d’oro del suo tesoro rimangono ancora oggi una leggenda anche se nel 1959 qualcuno tornò e trovando una piazza (Piazza della Vittoria) con tanto di monumento ai caduti là dove c’era il vecchio cimitero e  il viottolo delle “querci puppone” chiese i permessi per scavare  sotto  l’asfalto. Ma pare che il famoso tesoro dell’Orcino non fosse lì!

Altro padule in zona da vedere quello di Fucecchio

Se volete leggere le gesta  di questi briganti e di altri il libro è “O la borsa o la vita!” Giorgio Batini  pubblicato nel 1975 da Bonechi editore.