Il patanegra della Versilia è, ovviamente, un prosciutto. Siamo a Gombitelli, paese immerso nei boschi delle colline sopra Camaiore che guardano verso il Tirreno e di questo sentono l’influenza. E adesso fermatevi, respirate e immaginate…

Siete a Gombitelli, un villaggio fortificato sorto intorno all’anno 1000.   Il borgo si trova su un crinale del Monte Calvario, sulle colline che dividono la Valle della Freddana e la Valle della Pedogna.
(Gombitelli è citato per la prima volta sotto il nome di Cumitellio o Chiomitelio (termine per indicare il conte), ma altri studiosi fanno derivare il nome da Gombete – gomito in dialetto locale-  o dal termine medievale Gumbus, a sua volta derivante dal latino cubitus (gomito).

Passano i secoli e  il borgo si amplia. Arrivano popolazioni provenienti da città del Nord Italia come Bergamo e Reggio Emilia. Vi trovano dimora anche dei fabbri tedeschi mandati da Carlo V. Si parla una lingua gallo-italiaca e si fanno i chiodi, brutti ma usati in tutta la Toscana del tempo e non solo. Sono i gavorchio a testa quadra, e non tonda, chiodi forti, battuti a mano e per avere quella forza ci vogliono proteine…

La vita tra boschi, fucine e metati

La vita scorre lenta, si punta alla sopravvivenza tra boschi di castagne, che regalano farine dolci e sostanziose e si allevano maiali. Non sono zone adatte ai bovini e quindi solo i maiaili possono fornire le proteine necessarie a superare gli inverni, a quel tempo ancora molto rigidi.

I suini cresceno bene in questo territorio e molte famiglie, con l’aumento della popolazione, diventano fucina di provetti norcini. L’arte della norcineria qui prende presto piede grazie anche alla stagionatura che il clima, tra boschi e influenza del mare, rende superba. 

Prosciutto Penitente: la storia di un salume nato quasi per caso

Basso medioevo. Autunno. A Gombitelli le donne e gli uomini del paese vanno per boschi alla ricerca di castagne. Col bastone schiacciano i ricci per far uscire i preziosi frutti. Quando i cestini sono pieni le comari si ritrovano intorno ai metati, piccole costruzioni in pietra rialzate da terra costruite ai margini dei castagneti. All’interno di questi casotti le castagne vengono sottoposte ad un lento processo di essiccazione, al termine del quale saranno pronte per essere macinate, così da ricavarne farina.

I cestini si svuotano e le castagne sono accumulate sui graticci. Sotto,  un lento fuoco, arde mentre  un leggero fumo che avvolge l’ambiente. Le castagne lentamente si asciugano. I piccoli metati si riempiono di voci e diventano ancheluoghi di ritrovo. Ci si ripara dai primi freddi e,  quando si può, si fa merenda.

Da una parte il fattore ha appeso alcuni prosciutti, quelli che il  norcino ha messo da parte perché ritenuti di scarso sapore. Stanno lì da un pezzo, il capo ha detto di farli consumare ai lavoratori come penitenza per le loro merende.  Il primo che apre il prosciutto ( oggi possiamo definirlo di seconda scelta), si accorge che stagionando si è arricchito talmente dei profumi dell’ambiente di essiccazione delle castagne da acquisire nuove qualità.

La dolcezza delle castagne, i profumi del bosco sono entrati nelle cellule di quel prosciutto ritenuto scartato, adatto solo per i “poveri contadini penitenti”!

prosciutto Penitente tagliato a mano foto Roberta Capanni

La nascita de il “Penitente” ovvero “il Patanegra della Versilia”.

Di ritorno nel tempo presente, scopriamo che la Famiglia Triglia di Gombitelli è in grado di riprodurre quel particolare prosciutto secondo procedimenti vecchi di più di duecento anni. Il Penitente viene stagionato per almeno 24 mesi a diretto contatto con la farina di castagne, sviluppando il suo gusto dolce e raffinato che seduce la gola con quel piacevole retrogusto di castagna.

Il Prosciutto Penitente è un must per i gourmet e per coloro che desiderano avere un assaggio dell’eccellenza. Un crudo che non ha nulla da invidiare ai migliori Jamon spagnoli, come il Serrano a lunga stagionatura o l’ottimo Pata Negra.
Il Penitente è qualcosa di particolare e inconfondibile al naso e al palato. Il leggero retrogusto di castagna si esalta nell’abbinamento con il vino e il pane di grano duro o ai cereali. Nel bicchiere si sposa con un Franciacorta Satèn, un Oltrepò Pavese metodo classico, oppure un rosso profumato come il Cerasuolo di Vittoria.