Esistono luoghi di cui spesso abbiamo un’immagine ideale frutto della nostra fantasia e di uno spicciolo nozionismo di viaggio.
Immagini edulcorate, semplificate e talvolta persino banalizzate perché narrate con la conoscenza del turista e non del viaggiatore.
Ogni città nuova che s’incontra, ogni strada che si percorre, ogni collina che attraversiamo deve essere vissuta con tutti i sensi; va sentita propria. Va persino odorata.
Quando per la prima volta ho vissuto Porto ho capito tutto questo.


Sopra e sotto

Nell’immaginario comune e dalle foto patinate che occhieggiano da siti e riviste, Porto oppure Oporto, viene semplificata come la capitale del nord del Portogallo e città del vino omonimo.
Ma solo vivendo sulla pelle questa città affacciata sulla foce del Douro, al sottofondo sempre presente della malinconica musica del fado, puoi respirarne davvero l’anima.
Lo si può fare affacciandosi dall’ardito ponte Luis costruito nel 1830 dal migliore allievo di Eiffel. Una vista spettacolare specie sul far del tramonto quando il sole si tuffa nell’oceano.
Oppure godendosi le ardite linee curve in ferro del ponte dal sotto. Ammirandone l’unico arco che lo forma mentre dalle rive del Douro un gruppo di ragazzini si sfidano in tuffi rinfrescanti.
Con la brezza mai salmastra di questo scorcio di oceano annacquato, annusando l’aria, si scopre Porto.
La si scopre sotto e sopra ma anche a destra e a sinistra dato che la foce del fiume è come se volesse tenere separate da un lato del fiume la Ribeira, lo storico quartiere marinaro oggi patrimonio Unesco e dall’altro Villa Nova de Gaia la zona delle cantine storiche del vino fortificato che ha dato nome e fama alla città lusitana.

 

Su e giù

Tralasciando di battere i percorsi del turismo mordi e fuggi scegliamo di vivere Porto nei dintorni dell’elegante Avenida dos Aliados che della città è l’ombelico.
Un viale ampio ed elegante dove sono i palazzi più eleganti e signorili della città con le cupole e le guglie in granito e i lucernai decorati del liberty.
Qui hanno sede le grandi banche, gli alberghi più alla moda. Vale la pena però usare la grande avenida come punto di partenza per vivere Oporto su e giù facendosi attrarre dall’azzurro delle maioliche, dalle casette colorate addossate l’una all’altra che si arrampicano in salite ardite spezza fiato.
Qui si vive la città autentica; quella dei panni stesi, delle insegne in ferro battuto, dei vecchi barbieri con le grandi poltrone e la luce fuori la porta; delle botteghine minuscole piene fino a strabordare di mille oggetti; degli uomini con gli occhi neri malinconici e le donne che si salutano dai terrazzini, quasi sfiorandosi.

Attaccati al tram

 

Fra le stradine ripide della città è facile sentire lo sferragliare dell’eletcrico. Una parola portoghese che dice poco, ma appena ci giriamo e lo vediamo salire, quasi sbuffando non possiamo che rimanere meravigliati.
Tagliano in due le vie antiche della città e completano il quadro d’insieme di elegante decadenza. Sono i caratteristici tram che in qualsiasi altra parte del mondo (esclusa Lisbona) farebbero bella mostra di se solo nei musei. Eleganti e lucidi tutti in legno dentro e fuori e con manopole e pomelli d’ottone.
Indubbiamente i tram sono una delle principali attrazioni della città ma non sono uno show su rotaia per turisti ma linee vere a tutti gli effetti tant’è che in alcuni orari è impossibile salirci sopra per l’affollamento.
Tre quelle in servizio: la 1, la 18 e la 22. La prima è indubbiamente quella più scenografica dato che corre lungo la riva del Douro, ma se volete fare una visione d’insieme della città evitando le fatiche del sali e scendi suggeriamo la 22 che in una mezz’oretta vi farà fare una completa circolare.

 

Porto o Oporto?

 

Cerchiamo di fare chiarezza sul nome della capitale del nord del Portogallo. La città si chiama Porto o Oporto?
È un po’ come dire Aquila o L’Aquila e Spezia e La Spezia. La differenza la fa l’articolo.
Porto (lo stesso nome dell’omonima squadra di calcio e del famoso vino) quando viene pronunciata con l’articolo O lusitano, usato anche nella forma inglese, assume la pronuncia di Oporto che possiamo considerare, scomodando anche la Treccani, una forma arcaica.
La usava non a caso nell’Ottocento anche Carducci che in un verso della sua “Piemonte” la nomina raccontando dell’esilio di Carlo Alberto di Savoia re di Sardegna “…e ai tristi errori meta ultima Oporto…”

Porto sì, ma nel bicchiere

Impossibile parlare di Porto senza parlare di porto. Il gioco di parole introduce all’assaggio del nettare che ha reso popolare la cittadina nell’isola di Albione e nel mondo intero: il suo vino fortificato.
Un vino liquoroso che al pari dello Scherry e del Marsala è nato dall’esigenza degli inglesi di degustare in patria vini che dovevano navigare per molto tempo nei mari prima di giungere in Inghilterra.
L’aggiunta di alcol ne permetteva la conservazione, ma la storia del Porto è davvero antica. Dall’epoca romana al 1200 questo vino iniziò ad essere esportato in Inghilterra per “rafforzare” i leggeri vini francesi.
La svolta avvenne nel Seicento quando, con l’ennesima guerra fra francesi e inglesi e il blocco delle importazioni del vini di Bordeaux, i commercianti isolani spostarono le loro attenzioni sulla penisola lusitana.
Fu Lord Methuen il primo ad accordarsi col Portogallo per importare i vini della valle del fiume Douro. Per affrontare però il lungo viaggio in nave si decise così, dato che il  viaggio era molto più lungo che da Bordeaux, di fortificarlo con il brandy per bloccare ogni residua attività dei lieviti e conservare il residuo zuccherino naturale.
Fu un grande successo e così dopo Methuen sulle rive del Douro si trasferirono in pianta stabile anche altri commercianti inglesi.
Non a caso ancora oggi i maggiori produttori di Porto hanno cognomi di chiara origine anglosassone: Cockburn, Graham, Osborne, Taylor e Sandeman.

La nostra prova d’assaggio

Noi abbiamo degustato il nostro Porto nel cafè Guarany, sull’elegante Avenida des Aliados in un ottima posizione angolare dove all’interno dell’antico cafè liberty recentemente restaurato e dove spiccano i lucidi mosaici e le sedute Bahaus abbiamo provato un Tawny di Graham’s.
Il  Porto per i neofiti è un rompicapo di etichette suddiviso com’è in base ad annate, invecchiamento e qualità con una classificazione complessa stabilita dall’Istituto Nacional Do Vino Porto.
C’è il Bianco (Branco, Dourado o White) di facile beva che può essere secco, semi secco e dolce.
Il Rosato nato di recente sull’onda della moda dei pink che spopola soprattutto in Inghilterra.
Il Ruby che è il base; giovane, brillante e dai profumi netti e vinosi e il Reserva che è la sua versione di qualità.
C’è poi quello che ho assaggiato per voi ovvero il Tawny. Colore granato,  mediamente dolce, guto intenso e profumi complessi. Nel mio bicchiere esplodeva la liquirizia e la cioccolata fondente. Ho scelto di degustare questo Porto perché si pone a metà della “scala” ovvero un vino con mix di annate diverse invecchiate dai 10 a i 30 anni.
Vi è poi il Singlas Quintas da meditazione e con uva che proviene da unico vigneto. Il Vintage di unica annata giudicata eccezionale dall’Istituto Nacional Do Vino Porto invecchiato dai 3 ai 30 anni; il Late Bottle Vintage di singola annata non Vintage invecchiato dai 4 ai 6 anni; i Crusted mescolati ad arte dalla cantina per ottenere intensità e carattere e infine il Colheita prodotto in stile Tawny con uve di una sola annata e invecchiamento di 7 anni.

 

Scoprendo la Francesinha 

 

Che il Portogallo sia culinariamente associato al baccalà è cosa nota. Potremmo parlare di 365 sfumature di baccalà se è vera la leggenda che esistono almeno tante ricette che per ogni giorno dell’anno ma noi non vogliamo essere banali.
Il bacalahu che riporta ai fasti dei grandi viaggiatori portoghesi che fecero di necessità virtù cibandosi di quel pesce dei mari artici che da Vasco De Gama in poi si mostrò proteico e pratico per lunghe rotte alla scoperta dei nuovi mondi.
Ma il baccalà è Lisbona con la sua corte e il Portogallo è anche altro.
A Porto la tradizione si chiama francesinha rigorosamente con la h lusitana da non confondersi con il lesso rifatto detto francesina in Italia.
Un piatto deciso ma non per tutti è bene dirlo anche se viene considerato poco più che un sandwich è infatti molto corroborante.
Il piatto anche non ha una storia leggendaria come il baccalà l’ha altrettanto interessante. L’invenzione è attribuita a Daniel Da Silva un emigrante portoghese che dopo aver vissuto in Belgio e Francia tornando in patria nel 1960 cerco di adattare al gusto locale il francese croque-monsieur.

Per digerire la francesinha, di cui esistono più di una variante, può essere necessario percorrere almeno una delle lunghissime strade sali-scendi di Porto (non a bordo del tram).
L’aspetto è quello di una piccola torre fatta di pane in cassetta all’interno del quale è salame, una fetta di vitella, chouriço (una salsiccia di maiale locale) e formaggio locale. A chiudere la torre, in cima è un uovo fritto e nel piatto di servizio un letto di salsa alla birra, pomodoro e peperoncino.
La francesinha si serve accompagnata da un piatto di patatine fritte francesi e nonostante sia di fatto un sandwich la si deve consumare con forchetta e coltello.
L’accompagnamento d’obbligo è con un’ottima birra ghiacciata e non a caso noi abbiamo scelto di provare la francesinha in una delle migliori birrerie artigiane del centro di Porto, il Brasão Aliados