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“L’idea gli venne all’improvviso in un’afosa sera d’estate. Sebastiano Delgado si rigirava nelle lenzuola, nervoso per il caldo e per quella solitudine che non sopportava più.”  Inizia così  un libretto piccolo, piccolo, regalato da un’amica poco frequentata ma che vale 1000 di quelle sentite tutti i giorni, un libretto per cui, guardato il nome dell’autore, ho storto subito il naso. Non mi piacciono per principio i politici che si mettono a fare anche gli scrittori. Ma la donatrice era una garanzia e il mio rispetto per i libri è tale che l’ho “attaccato” subito.

Mestieri immateriali di Sebastiano Delgado” di Dario Franceschini, l’ho divorato. Un sol boccone di puro divertimento di lettura. Non è un caso forse che Bompiani lo abbia inserito nei suoi asSaggi.

I mestieri immateriali di Delgado fanno riflettere. Mestieri che non esistono nel mondo “materiale” ma con una loro utilità innegabile. È la solitudine di un letto vuoto a far acchiappare dall’etere l’idea a Delgado.  Mestieri che avrebbero fatto star meglio le persone, mestieri che portassero soddisfazioni immateriali ma necessarie all’uomo.

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“Che differenza morale c’era – pensò Delgado – tra chi guadagnava offrendo un servizio a coloro che non riuscivano a pulirsi il culo da soli e chi invece lo proponeva a quanti non trovavano più nessuno che gli facesse una carezza sul viso?”

L’Agenzia di Delgado, capitolo dopo capitolo ci parla dei suoi successi: dagli accarezza tori, ai silenti, alle dormitrici, i tramontisti, i pranzisti e molte altre professioni di successo. Dentro queste poche pagine ci sono messaggi “immateriali” per la nostra società di”amici virtuali”, di bisogni sottovalutati.

La categoria che ho preferito? Le “sbadanti”.Non fu necessaria la pubblicità per lanciare il nuove mestiere: il successo fu determinato dal passaparola tra i familiari, che si confrontavano sul cambiamento d’umore  dei loro cari, una volta affidati alle cure di una Sbadante” racconta Delgado/Franceschini  a pagina 67 e conclude:

la morte più bella fu quella di Lucia […]la domenica successiva si svegliarono all’alba e parlarono in auto per tutto il tempo. All’ora di pranzo, mangiarono con i piedi nudi sull’erba e negli occhi le Dolomiti, dove il rosa incontrava l’azzurro del cielo. Lucia ordinò canederli, capriolo e polenta e come dessert uno strudel squisito. Confidò a Gina che voleva anche una grappa, la bevve d’un fiato e lei, proprio lei che non aveva mai usato pronunciare una parolaccia in tutta la sua vita, respirò a fondo e prima di addormentarsi per sempre sulla panca, nel tiepido sole di montagna, disse ad alta voce: “Qui sia sta davvero bene, cazzo”.

Roberta Capanni